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Tales from The Loop: apprezzabile?

Tales from the Loop è uscito in una situazione complessa, con buona parte del globo chiusa in quarantena a consumare continuamente serie tv e cibo in quantità. È proprio grazie a questo accasamento forzato che sono riuscito a guardarmi la serie in pochissimo tempo (ben due volte, onde evitare refusi e farmi scappare piccoli particolari). E, lo ammetto, non ho ancora bene idea su come valutarla. Sicuramente, tornassi indietro, scriverei in maniera decisamente diversa questo articolo.

Tales from the Loop

Una serie diversa dalle solite

Tales from the Loop si articola in otto episodi, tutti della durata di un’ora circa, riguardanti personaggi sempre diversi e con trame spesso legate le une alle altre solo marginalmente. L’utilizzo di questa linea narrativa (una trama orizzontale sempre differente ed una verticale un po’ fragile) stride parecchio col formato tipico di una serie, tramutando ogni episodio in una sorta di gigantesco episodio filler, anche se il lavoro sui personaggi è interessante e c’è un debole sviluppo di fondo.

Gli episodi toccano diversi argomenti con differenti profondità, con un lento ritmo di fondo che rende spesso l’ora di visione più lunga. L’ampio respiro e le lunghe pause della serie non aiutano Tales from the Loop ad omologarsi al resto delle serie (con episodi più corti, spesso, e straripanti di argomenti). Temo che sia troppo presto per dire se questo sia un pregio o un difetto.

Lunghi attimi di silenzio si fanno strada in inquadrature davvero piacevoli di paesaggi e scorci prospettici. L’atmosfera permea le pellicole in maniera magistrale, ognuna completamente immersa nel clima anni 70. Una rievocazione ben riuscita ed un ottima rappresentazione delle opere di Simon Stalenåg, spesso prese pari pari dai suoi artbook.

Anche la presenza scenica dei giovani volti, seppur accostata a grandi attori come Jonathan Pryce, non turba il dolce equilibrio della serie. Ogni personaggio e attore trova la propria dimensione all’interno della serie, senza sforare in quella altrui in una bilancia quasi perfetta.

Tales from the Loop

Diversa è meglio…o no?

È particolarmente difficile farsi un’idea su Tales from the Loop a causa della sua struttura e al lavoro della regia. Da un certo punto di vista si comprende di stare davanti ad un’opera davvero magistrale, dall’altra questa consapevolezza stride coi palati abituati ad Agent of Shield e The Boys. Ritengo che Tales from the Loop sia un’ottima rappresentazione dell’arte di Simon Stalenhåg ma sia ben lontana dall’essere un’ottima serie per ciò che le serie sono concepite oggi: intrattenere.

Facendo dei sinonimi: se fossimo in una cucina questa serie sarebbe sicuramente il servizio buono, mai utilizzato, bello a vedersi, piuttosto del mestolo usurato che cucina sempre lo stesso piatto di pasta. Questo rende il servizio meno bello? Assolutamente no, anzi. Lo rende meno fruibile? Probabilmente.

Personalmente penso che ciò che abbia “colpito” Tales from the Loop sia stata la scrittura, più contemplativa che rivolta all’azione, difficile da trovare di questi tempi nel panorama internazionale. Il senso di malinconia, di meditazione, spesso anche di tristezza si sposano perfettamente con i tempi di regia. In sostanza, un ottima opera d’arte, bel lontana però dall’essere percepita come una serie tv nel gusto comune.

Tales from the Loop

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