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Il Narratore a Pagamento: un problema ciclico

Premesse

L’articolo che segue è un estratto tagliato, arricchito e stravolto di un pezzo che ho già scritto all’interno di un noto forum di D&D, Dragon’s Lair. Ultimamente mi sono allontanato dagli spazi diendeschi, principalmente per una questione di creatività che si andava a scontrare con la rigidità del sistema (anche in 5.0). D&D non mi rappresenta più, nonostante ciclicamente percorra i subreddit riguardanti questo gigantesco gioco e altrettanto ciclicamente veda emergere gli stessi problemi, da anni a questa parte. Oggi parliamo del Narratore a Pagamento.

Prendete quindi l’articolo che segue come un commento, strettamente personale e un po’ mondato dal pregiudizio, e non come una legge universale. L’imperativo dell’articolo è far parlare di sé, discutere in modo civile e muovere le idee. Lungi da me pensare di avere tra le mani il modo giusto di giocare qualcosa. Detto ciò, cominciamo.

Un problema ricorrente

Oggi voglio parlare di un tema che a più ondate ha imperversato nei forum e nella società del gioco di ruolo e, esattamente come un’orda di orchi per la Terra di Mezzo, creando scompiglio e distruzione. Uno di quei temi così difficili da trattare da far sembrare le edition war bazzecole da quattro soldi. Sto parlando del Narratore a Pagamento.

Un tema discusso a più mandate da molti a causa del suo impatto sulle finanze di coloro che decidono di aderire, forse macchiato dall’italianissimo dogma di fare i conti in tasca agli altri. Almeno, così mi è sembrato, e penso profondamente sia, nelle menti di tanti. Il fatto che qualcuno si faccia pagare per fare qualcosa che qualcun altro fa assolutamente gratis dà non poco filo da torcere a coloro che si interessano all’hobby. Qui se ne parla, sebbene in inglese, ma se cercate trovate davvero cento articoli che trattano dell’argomento.

Ed è così, lettori, che con i soldi delle sessioni sono riuscito a far partire la mia startup innovativa, dove assumo narratori a 4000 euro al mese!

Da dove nasce l’idea del farsi pagare per narrare?

L’idea del farsi pagare per fare sessione nasce (penso) principalmente dalla carenza di tempo libero. Come spiego nei commenti dell’articolo, la quantità di tempo libero (nelle vite dei più, ovviamente) comincia ad assottigliarsi mano a mano che comincia il lavoro, la famiglia, i figli, o semplicemente si avanza con l’età. È normale che avvenga e, nonostante esistano casi limite che riescono a portare avanti il loro hobby settimanalmente, la maggior parte vede diradarsi le sessioni al tavolo, più o meno volontariamente.

Nel tempo libero sempre più carente (ripeto, a detta di molti) le capacità di Narrare in un sistema che fa della preparazione il suo cardine diventano rare. Certo, si può comunque improvvisare, ma diciamo che alcune cose rischiano di finire male, vedi gradi sfida e tesori. Da qui l’idea del farsi remunerare per procurare/procurarsi divertimento, ed è così che nasce il narratore a pagamento. Magari in altri casi comincia con la mitomania, oppure con la semplice necessità di avere quel denaro extra. Fatto sta che il Narratore comincia a richiedere una cifra per “impiegare il suo tempo libero”.

Capitalizzare il tempo libero è giusto?

Nella mia esperienza personale, ho sempre trovato abbastanza naturale fare il narratore. Io sono quello che in gergo tecnico chiamiamo forever-dm, una persona che ha sempre (o quasi) narrato. Narravo nei miei gruppi perché “conoscevo meglio le regole”, narravo fuori perché “giocavo da tanti anni”, narravo agli eventi perché “mi serve qualcuno che sappia gestire questo”. Col senno di poi metà di queste motivazioni le avrei mandate in vacca, ma ai tempi ero molto legato a D&D e al ruolo di narratore.

Non voglio parlare delle parrocchiette che il gioco di ruolo crea intorno a questi individui, a volte trattati alla stregua di una divinità egizia da parte dei fedeli, né di come queste parrocchiette siano allergiche ad ogni forma di critica verso il proprio narratore e completamente legate ad un determinato tipo di gioco a prescindere che questo sia funzionale o meno al divertimento di tutti.

Su certe parrocchiette, forse, è meglio glissare completamente

Ammetto che l’idea di capitalizzare il mio tempo libero era succulenta: ricevere offerte, denaro, per qualcosa che “mi era facile fare/ero costretto a fare” mi faceva gola. Ma, col tempo, capii che non era la mia strada, anzi. Non sono qui a fare il samaritano della situazione, a chiedere a gran voce “vivete in povertà“. Semplicemente ho smesso di trovare giusto capitalizzare anche il mio tempo libero. Folle? Probabilmente. Socialista? Probabilissimo.

C’è sempre qualcuno disposto ad arricchirsi. Che si dorma meglio sulle monete?

L’Idea che tutti dovrebbero farsi pagare è giusta?

Ad oggi non ho ancora assoluta risposta. Ritengo che l’umilissimo quanto illuminato The Stroy, che nei commenti parla di rimborso spese, abbia centrato la mia linea di pensiero. Finché ci si offre la pizza vicendevolmente si può parlare di tempo libero, ma dal momento che mi paghi per narrare forse il clima si distrugge, ed è giusto pensare se non ci si stia prendendo troppo sul serio. AI tempi, però, la pensavo molto diversamente, e alla domanda “perché farsi pagare?” rispondevo con:

Semplicemente perché il tempo libero costa. Tutto ha un costo; si paga tanto l’abbonamento al decoder quanto l’elettricità per guardare la televisione. La palestra che frequenti per smaltire quel chiletto in eccesso quanto il personal trainer che ti dice dove stai sbagliando. Anche il videogioco sul quale stai la sera fino alle ore piccole. Perché non pagare una persona che studia, prepara e crea avventure da giocare tutti assieme? Se questa persona crea sessioni di qualità, perché non ricompensarla?

Ai tempi ero assolutamente sicuro che esistesse una definizione di gioco di qualità

Che, ad oggi, mi sembra una risposta quanto mai cinica, se non limitante. Forse c’è qualcuno che ritiene giusto che tutti paghino per le prestazioni ricevute, ma non ritengo D&D una prestazione. Si tratta di una serata tra amici, ed è così che mi piace vederla. Piuttosto, ancora mi fa senso notare che alcune realtà siano restie a ricompensare collaboratori, traduttori o editori. Ma questa è sicuramente un’altra storia, di cui parleremo in altri momenti.

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