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Dispatches from Elsewhere – un viaggio tra realtà e fantasia?

Dispatches from Elsewhere è una serie televisiva trasmessa dal network AMC, questo show è stato ideato e prodotto da Jason Segel basandosi sul documentario del 2013 The Istitute, nel quale veniva narrata la storia del “Jejune Institute”, un alternate reality game (ARG) ambientato a San Francisco.

La serie è stata trasmessa, nella sua interezza, da Prime Video ed è disponibile nel nostro paese dal mese di giugno.

Trovo molto difficile scrivere una recensione per questo prodotto, non tanto per la complessità del lavoro che Jason Segel ha fatto, quanto per le tematiche e lo sviluppo di quest’opera. Oltre a questo vorrei evitare ogni sorta di spoiler e mi limiterò quindi a parlare ad esprimere un parere su quella che è stata la mia esperienza guardando questa serie tv.

Quando circa tre mesi fa incappai nel trailer, rimasi profondamente colpito dalla scelta dei dettagli che venivano mostrati. Devo anche dire che rimasi molto stranito dall’osservare Jason Segel in panni diversi da quelli a cui tutti, o quasi, erano abituati a vederlo, ovvero quelli di Marshall Ericksen di How I Met Your Mother.

Vi faccio vedere il trailer così almeno potrete capire il mio smarrimento.

Non male vero? Un bel trip sembrava.

La prima cosa che mi è venuta in mente è stata che una cronaca di Mage: the Awakening fosse stata messa sotto forma di serie televisiva. Più guardavo il trailer, più mi dicevo che forse sarebbe riuscita dove The OA aveva fallito.

Andiamo ad analizzare quello che mi ha lasciato questa serie. Vi chiedo già scusa in anticipo, in quanto sarà più una raccolta di sensazioni che una vera e propria spiegazione di quello che Jason Segel ha voluto fare.

Dispatches from Elsewhere è una serie percepibile attraverso i sensi

Vista

Può sembrare scontato iniziare con la vista quando si tratta un prodotto televisivo, ma visivamente è veramente ben fatto.
Inizialmente tutto è grigio, o quasi. Solo una voce narrante onnisciente, vestita di verde, su un fondale arancione, ci accompagna nei primi attimi della serie. È un volto noto della televisione. Richard E. Grant, col suo sorriso da squalo e il suo accento inglese impeccabile, che ci chiede di immedesimarci nei personaggi.

La storia prosegue. Colori arcobaleno, installazioni artistiche, luci caleidoscopiche. E tutte quelle variazioni di blu che ci sono, ragazzi! Quei folli e bellissimi blu! Ci manca solo lo Zima Blue mi pare. Ricordate Love, Death and Robots?

Udito

Altra nota fondamentale della storia è l’uso dei suoni e delle musiche. Fin dai primi momenti possiamo notare come la musica sia presente nella maggior parte delle scene. Dal lavoro di uno dei protagonisti, fino ad una sua presa di coscienza dello stesso e di come sia importante il concetto di musica per l’uomo. Lo era anche per Howard Philip Lovecraft, come abbiamo parlato in un nostro precedente articolo, quindi figuriamoci qua!

Quindi preparatevi nella serie a sentire delle buone vibrazioni

Gusto

Siete pronti a sorbirvi uno dei miei pipponi?
Io non ho molto rispetto per l’alimentazione americana, e per l’ennesima volta non vengo smentito. In questa serie è addirittura possibile immaginarsi, purtroppo, il gusto degli alimenti che i personaggi mangiano. È anche interessante osservare il loro rapporto col cibo. Uno dei personaggi non mangia per gusto, ma solo per nutrirsi. Cibi sempre uguali, grigi, mangiati senza passione. Bevande sostitutive di pasti, per la paura di ingrassare.

Eppure, è proprio nei momenti di vitalità, gioia ed epifania che appare la ricompensa alimentare: un piatto di dolci, delle caramelle colorate. È notevole osservare come gli americani, anche nelle loro serie, passino molto tempo al tavolo senza mai trovare pace e nutrimento.

Olfatto

Qui le cose si complicano. Non è facile esprimere il concetto di olfatto, se non attraverso le parole. Però anche qua è possibile percepire l’uso di questo senso, o almeno l’immedesimazione in questo. L’odore di un composto chimico, le zaffate provenienti dalle fogne o l’odore del pesce per le strade di una determinata parte della città di Philadelphia, Fishtown.

Tatto

Il contatto umano, gli abbracci, la volontà di fare sentire la vicinanza ad una persona incapace di provare emozioni, sono tutte percepibili attraverso il tatto. Quindi anche questo senso ha un’importanza notevole ai fini della narrazione. Ogni personaggio impiega questo senso per entrare ancora più in contatto, profondamente, con i suoi compagni. Il tentativo di capirsi, di conoscersi attraverso una stretta di mano, una carezza, sono un passaggio fondamentale durante lo scorrere degli episodi.

foto del cast di Dispatches from Elsewhere

Conclusioni

Certo, impieghiamo tutti i nostri sensi per concentrarci su questa serie, eppure quello che ci lascia è qualcosa di effimero. Promette tanto, ma alla fine è un mero esercizio di stile.

Non nego che sia un buon prodotto, che tratti tematiche importanti e serie, ma non è riuscito a convincermi del tutto. Riesce sì a mostrare allo spettatore, parte integrante dello show televisivo, alcuni aspetti della propria personalità, ma alla fine, vuoi per il tono come è trattata tutta la storia, vuoi per il processo creativo, non riesce a far sbocciare quel punto di vista diverso che si era impegnato a raccontare.

Le possibilità della storia erano altissime, ma verso il finale queste si sono perse per strada, hanno preso una direzione diversa da quella che ci si aspettava, per narrare una storia intima e personale che non aveva molti parallelismi con quello di cui per nove episodi si è parlato.

Di nuovo, per non confondervi, vi assicuro, che il prodotto è godibile nonostante tutto e che l’opera di inclusività, portata avanti durante i dieci episodi che compongono la serie, raggiunge delle vette incredibili. Riesce a superare anche la narrativa di Sense8, che, ahimè, non sono mai riuscito ad apprezzare fino in fondo.

Per concludere io vi consiglio di spendere un po’ del vostro tempo per guardare Dispatches from Elsewhere e, ultimata la visione, tornare qua e dirmi se siete d’accordo con me oppure no. La sensazione finale è che tutta la storia fosse ad uso e consumo di una determinata fetta di pubblico che, in fondo, necessità della spiegazione dell’opera non avendo gli strumenti per comprenderla appieno con i propri sensi-

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