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A tutto vapore! Davide Mana ci parla di Hope & Glory e non solo

Qualche giorno fa si è completata, con successo, la campagna di Hope & Glory, un nuovo Mondo Selvaggio tutto italiano, nato dalla mente di Davide Mana e Umberto Pignatelli e di cui avevamo precedentemente parlato qui.

Abbiamo subito colto l’occasione per parlare con Davide a proposito del suo percorso creativo su Hope & Glory e ci ha anche regalato alcuni consigli che abbiamo deciso di condividere con voi.

Ma veniamo subito alle domande:

Le avventure di Sandokan non potevano non essere in bibliografia!
Le avventure di Sandokan non potevano non essere in bibliografia!

Da dove nasce questa tua passione per l’India e lo Steampunk? Qualche influenza letteraria?

Sono cresciuto leggendo romanzi d’avventura e di fantascienza. Il primo contatto con lo steampunk, quando ancora non si chiamava così, è avvenuto negli anni ’80 con i romanzi di Michael Moorcock, a cominciare da The Warlord of the Air.

Al contempo, letture “classiche” come Il Milione di Marco Polo o Le Mille e Una Notte mi avevano fatto scoprire l’Oriente Misterioso. E poi, nel bene e nel male, Salgari, naturalmente.

In che modo la cultura indiana influenza l’immaginario steampunk in particolare?

Esiste un vasto movimento di autori e creatori che stanno sviluppando un approccio multiculturale allo steampunk, e negli ultimi anni abbiamo visto molti lavori ambientati in India e Sud Est Asiatico (penso al progetto The SEA is Ours).

Io credo che l’Oriente e l’India in particolare offrano da una parte una alternativa allo steampunk “canonico” fatto di corsetti, occhialoni e abiti marroni, e dall’altra una opportunità per scardinare certi elementi orribili del colonialismo ottocentesco, proponendo delle alternative. Di sicuro questi sono due binari sui quali abbiamo cercato di sviluppare l’universo di Hope & Glory.

Puoi darci qualche altra informazione sulla Catastrofe che devastò l’Europa nella vostra creazione? C’è un qualche rimando alle catastrofi che il clima ci donerà?

La Catastrofe nasce dalla necessità di eliminare dalla scena alcuni elementi classici della civiltà del 1800 e per spiegare per quale motivo la società e la tecnologia abbiano preso una strada diversa.

Le reali cause, nel mondo di gioco, della Catastrofe sono uno dei misteri che i giocatori potrebbero essere chiamati a risolvere, e in futuro spero di poter esplorare alcuni altri aspetti della Catastrofe, a cominciare da cosa è accaduto all’America, il nostro Continente Perduto. Vorrei già anticiparvi che c’è un supplemento in lavorazione a riguardo.

Sono per formazione un geologo e paleontologo, e quindi ho cercato di rendere la Catastrofe quanto più realistica e plausibile possibile, perché quello di Hope & Glory è sempre stato pensato come un universo fantascientifico, per quanto sui generis.

E rimediare alle catastrofi spesso non è affatto facile: nel nostro gioco, così come nella vita reale, può essere più facile, e più utile, adattarsi ai cambiamenti, e cercare di far sopravvivere gli elementi centrali della propria civiltà, anziché cercare di ritornare a uno stato precedente ormai perduto e irraggiungibile.

Anche visivamente, gli elementi estetici dello steampunk rendono bene sul classico abbigliamento indiano!
Anche visivamente, gli elementi estetici dello steampunk rendono bene sul classico abbigliamento indiano!

È molto presente il tema dell’emigrazione anche se visto in una chiave totalmente diversa da quella attuale e recupera il duro colonialismo europeo del 1800. Quanto la situazione attuale mondiale ha influito sulla vostra creazione?

Credo sia impossibile ignorare la realtà che ci circonda, quando scriviamo, e visti i miei trascorsi accademici (mi sono laureato in paleontologia con una tesi sulle estinzioni di massa) è stato abbastanza naturale guardare all’ambiente come al motore per innescare dei cambiamenti e creare un nuovo mondo. Come ho già detto, volevo eliminare dalla scena il colonialismo, e dimostrare che sarebbero state possibili, forse, delle scelte diverse. Delle scelte diverse sono sempre possibili, e ogni scelta ha, naturalmente, un suo prezzo.

D’altra parte, stavamo creando un gioco, e non era nostra intenzione bastonare i giocatori con le nostre idee politiche o sociali. Abbiamo quindi cercato di costruire un universo che, per quanto plausibile, fosse prima di tutto divertente da esplorare.

Umberto ci ha raccontato della tua cultura sconfinata, sappiamo anche che questo progetto ha avuto uno sviluppo di almeno tre anni. Ma in questi anni come sei riuscito ad organizzare questa mole di lavoro? Hai mai avuto momenti bui durante i quali un blocco creativo ti ha frenato? Come hai fatto a superarlo? Cosa consiglieresti a coloro che si trovano nella tua stessa situazione o che hanno paura nel mettersi in gioco e scrivere?

Umberto mi presenta sempre come una specie di enciclopedia vagante. Gloriosi risultati di una gioventù passata a leggere strani libri.

Il lavoro di sviluppo è durato tre anni, durante i quali ho trovato anche il tempo di seguire una manciata di corsi universitari online per approfondire alcuni elementi, come la storia coloniale o la cultura indiana.

Il lavoro non è stato particolarmente organizzato, e per molti mesi è consistito essenzialmente nell’annotare idee su pezzi di carta e poi buttarli in una scatola. Nel momento in cui le idee hanno raggiunto la massa critica ho cominciato a scrivere, e per dare una forma concreta all’universo di Hope & Glory ho cominciato scrivendo dei racconti, per vedere come dei personaggi si sarebbero mossi in questo mondo.

E devo poi ringraziare la mia editor, Clara Giuliani, e soprattutto Umberto Pignatelli se il risultato finale ha una forma coerente: sono stati loro a dirmi “sì, bello, però questo si taglia”, portando le svariate centinaia di pagine di appunti e idee ad assumere la forma che hanno adesso.

E quindi più che un blocco creativo, il problema è stato l’opposto, perché creare un mondo è come cascare nella tana del Bianconiglio: non se ne vede la fine e non si sa quando fermarsi. C’è stato un momento in cui il solo manuale del giocatore superava le quattrocento pagine. Poi il buon senso ed Umberto hanno prevalso.

Certamente passare ad inseguire una idea diversa è un ottimo sistema per superare i problemi di blocco.

A chiunque là fuori che stia scrivendo e che stia sviluppando il proprio mondo, consiglierei prima di tutto di non avere paura, e di prendersi tutto il tempo che serve. A volte avere delle scadenze è uno stimolo, ma a volte è è un freno. Non esistono regole che valgano per tutti. Continuare a scrivere, quindi, cercando di non smettere mai di divertirsi.

Grazie, Davide!
Grazie, Davide!

Non abbiamo davvero parole per ringraziare Davide per queste sue parole e speriamo davvero che in molti, noi inclusi, ne possano trovare giovamento.

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