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Black Widow: un buon film che dice più di quello che vorrebbe?

Parliamo del nuovo film del Marvel Cinematic Universe, Black Widow, che ci svela il passato di Natasha Romanoff!

Siamo ormai arrivati alla Fase 4 del Marvel Cinematic Universe, dopo il sipario che è stato Endgame (e il suo record di incassi). Abbiamo già visto i primi passi nella Fase 4 grazie alle nuove serie televisive del MCU: WandaVision, The Falcon and the Winter Soldier (ecco la recensione episodio per episodio: 1×01, 1×02, 1×03, 1×04, 1×05 e 1×06) e Loki (del quale abbiamo trattato la metanarrazione e il potenziale queerbaiting).
Con Black Widow, siamo finalmente passati alla parte cinematografica della Fase 4.

Diretto da Cate Shortland, l’uscita di Black Widow è stata più volte rimandata a causa della pandemia, ma finalmente è uscito nei cinema italiani il 7 luglio, e su Disney+ il 9 luglio.
Ritroviamo Scarlett Johansson nei panni della ex-spia e Avenger Natasha Romanoff, aka Black Widow, insieme a un cast di personaggi nuovi. Conosciamo quindi la “famiglia” di Natasha, formata tutta da agenti sovietici sotto copertura negli USA. Avremo quindi Rachel Weisz (La Mummia) nei panni della “madre” Melina, David Harbour (Stranger Things) nei panni del “padre” Alexei, aka Red Guardian, e Florence Pugh (Midsommar) nei panni della “sorella” Yelena.
In questo articolo, vediamo un po’ quali sono state le impressioni di chi scrive dopo la visione del film.

Attenzione: questo articolo contiene spoiler su Black Widow
Natasha Romanoff in Black Widow
Natasha Romanoff in Black Widow

La trama del film in breve

Questa volta cercheremo davvero di farla breve. Piùomenocirca.
Il film si apre con uno scorcio sull’infanzia di Natasha, che ha vissuto alcuni anni in Ohio insieme a un gruppo di agenti russi sotto copertura. Recitando i ruoli della famigliola perfetta, Melina e Alexei hanno cresciuto così Natasha e Yelena, mentre in segreto recuperavano segreti militari.
Dopo una rocambolesca fuga a Cuba, la famiglia si separa. Ogni membro non è altro che uno strumento per il capo dell’operazione, Dreykov, e quindi ognuno dovrà essere ricollocato in un nuovo ruolo. Natasha e Yelena vengono quindi portate nella Stanza Rossa, per venir addestrate come Vedove Nere.

La “cura” per le Vedove Nere e la riunione della “famiglia” di Natasha

Tornando nel presente, seguiamo una Natasha in fuga dopo gli eventi di Civil War. Dopo essere stata quasi uccisa da un inquietante androide, Taskmaster, Natasha si rende conto di aver ricevuto da Yelena, che non vedeva più da anni, un pacco con delle misteriose fiale rosse. Yelena rivelerà alla “sorella” che si tratta dell’antidoto a una speciale manipolazione mentale neurochimica a cui sono soggette le Vedove Nere di ultima generazione. Yelena stessa si è liberata solo grazie ad esso.
Natasha scopre così che Dreykov, che lei credeva di aver ucciso insieme alla di lui figlioletta Antonia, è ancora vivo e ha riorganizzato la Stanza Rossa e rivoluzionato le Vedove Nere.

Determinate a fermare il loro ex-aguzzino, le due sorelle cercano qualcuno che sappia dove sia Dreykov.
Liberano così di prigione il loro “padre”, Alexei, che ai tempi era un super-soldato simile a Captain America, chiamato Red Guardian. Alexei però, per quanto sia contento di rivedere le “figlie” (nonostante la sua vena narcisistica), non sa dove sia Dreykov.
Così, i tre trovano l’ultimo membro della loro finta famiglia, Melina, che ai tempi era a capo della missione. Melina rivela di aver creato la sostanza che permette a Dreykov di manipolare le Vedove Nere e, per redimersi, accetta di aiutare le “figlie” a uccidere Dreykov.

Tutti i nodi vengono al pettine

Facendosi catturare, Natasha e Melina riescono a impersonarsi a vicenda e a sabotare la Stanza Rossa, che è una grossa struttura volante. Natasha riesce così a ottenere da Dreykov preziose informazioni sulla posizione di tutte le Vedove sul globo, mentre Yelena ha successo nel somministrare l’antidoto alle altre Vedove nella Stanza Rossa.
Inoltre, Natasha scopre che Taskmaster altri non è che Antonia, la figlia di Dreykov, sopravvissuta al tentato omicidio di Natasha, ma ridotta a una macchina di morte dal padre. Tormentata dal senso di colpa, Natasha rischia il tutto e per tutto, riuscendo così a dare l’antidoto anche ad Antonia, liberando anche l’ultima vittima del narcisismo e delle smanie di potere di Dreykov.

Alla fine, Yelena, Natasha, Melina e Alexei si lasciano, grati di sapere che per tutti loro quella finta famiglia che avevano creato è, in realtà, molto più vera di quanto Dreykov avesse voluto.
L’obiettivo, ora, è liberare tutte le altre Vedove Nere sparse per il mondo.

Il film si chiude con una scena dopo i titoli di coda, ambientata dopo Endgame. Qui vediamo Yelena di fronte alla tomba di Natasha, che incontra Valentina Allegra de Fontaine, già vista in The Falcon and the Winter Soldier.
Valentina rivela a Yelena chi ha ucciso Natasha: Clint Barton, aka Hawkeye. Per Yelena, quindi, è tempo di avere la sua vendetta.

Yelena Belova in Black Widow
Yelena Belova in Black Widow

Alcune riflessioni su Black Widow

Tenendo conto che non si guardano i film del MCU alla ricerca di una sofisticata analisi della realtà, Black Widow è probabilmente uno dei film meglio riusciti del MCU.
Sebbene non sia un capolavoro, questo film riesce ampiamente nel suo intento (intrattenere) e ad approfondire il personaggio di Natasha.

Le persone come oggetti e la figura di Dreykov

Ridotto all’osso, Black Widow è un film sull’auto-affermazione, sulla agency e sulla sconfitta di chi tratta gli altri alla stregua di oggetti.
L’antagonista, Dreykov, non è una persona che abbiamo modo di conoscere e con cui abbiamo modo di empatizzare in qualche modo. Insomma, non è un Thanos, un Killmonger o uno Zemo, ma nemmeno una povera vittima schiavizzata come il Soldato d’Inverno.
Dreykov è probabilmente l’antagonista con cui si empatizza di meno in tutto l’MCU, perché è un padre-padrone-datoredilavoro-dittatore. È il tipo di persona che non lavora con gli altri, ma “affitta” i corpi altrui per un lavoro, pretendendo di disporne a suo piacimento. E in qualche modo, è “giustificato” da uno scopo positivo (a suo dire) e dall’aver “salvato” (sempre a suo dire) le persone che usa da una vita peggiore.

Se volessimo pensare che la Marvel stia facendo una critica al capitalismo (e siamo sicuri che non lo fa), Dreykov sarebbe la personificazione del capitalismo.
Se volessimo pensare che la Marvel stia facendo una critica alla mercificazione delle donne, Dreykov sarebbe la metafora di un trafficante di esseri umani e di un pappone.
Ma questa è la Marvel. E questi sensi ulteriori e queste metafore sull’etica e sul valore della vita umana le lasciamo ad altri film. Tipo a Mad Max: Fury Road, che tratta le stesse tematiche, ma in maniera molto più esplicita. (Ma sul fronte delle esplosioni siamo più o meno lì.)

Donne come esseri umani

Una nota positiva del film è che i suoi (molti) personaggi femminili sono generalmente ben fatti.
Nonostante i diversi primi piani sul fondoschiena di Natasha (si rivaleggia con il Justice League di Wheedon!), la nostra protagonista ha la possibilità di comportarsi come una persona in carne e ossa. A differenza degli altri film del MCU, Natasha qui non è mummificata nell’incarnazione della femme fatale.
Inoltre, grazie alla presenza di Yelena, Melina, Antonia e una dozzina di altre Vedove Nere, non è nemmeno l’unica rappresentante del genere femminile sullo schermo. Abbiamo quindi modo di approcciarci a donne con personalità relativamente diverse, e persino di età differenti.

Melina porta sullo schermo un’attrice di mezza età, di cui onestamente ce ne sono troppo poche, nonostante l’abbondanza di attori cinquantenni. Rachel Weisz è messa in un ruolo fin troppo inespressivo, ma è comunque stupenda da vedere.
Yelena è invece resa molto bene da Florence Pugh e ha il compito di decostruire e ricostruire la figura di Black Widow.
Innanzitutto, infatti, fa ironia sulla “posa da supereroina” che Natasha assume quando atterra. Per chi non lo sapesse, infatti, si tratta di una posa che sarebbe assolutamente irrealistica e inefficace nella vita reale.
In secondo luogo, Yelena ha modo anche di approfondire e di ri-raccontare l’esperienza dell’asportazione dell’utero delle Vedove Nere, gestita malissimo ai tempi da Joss Whedon in Avengers: Age of Ultron. In Black Widow, questa operazione è narrata come una violenza sul corpo delle protagoniste, non come un “non ho l’utero, quindi anch’io sono un mostro!”.

Infine, se fosse per me vorrei avere almeno altri sette film sul personaggio di Antonia/Taskmaster. Una donna-cyborg sfigurata che si è appena liberata dal controllo mentale del padre-padrone? Ha abbastanza potenziale da meritarsi ben più di una comparsata.

Alexei Shostakov e Melina Vostokoff in Black Widow
Alexei Shostakov e Melina Vostokoff in Black Widow

Pensieri finali su Black Widow

Insomma, come vedete, potrei aver da dire su questo film più cose di quelle che Black Widow ha effettivamente raccontato.
È un buon film supereroistico. Migliore rispetto ad altri e che sicuramente ha fatto piacere vedere al cinema. Ha un tono più maturo rispetto ad altre opere dell’MCU e sa dosare il suo lato drammatico e le sue necessarie derive comiche.

È anche un film che avrebbe avuto il potenziale per trattare questioni molto pesanti, come la mercificazione del corpo femminile e la tendenza capitalista/dittatoriale di trattare le persone come oggetti. Ma siamo alla Marvel e questi argomenti quindi sono solo sfiorati. Le Vedove Nere non sono vittime del mercato della prostituzione, così come Dreykov non è un capitalista cattivo. Le Vedove sono le assassine di un cattivo che agisce con motivi poco chiari. Alla fine, la metafora di fondo è coperta da così tanti strati da non essere più chiara.
Rimane, però, la critica al trattare gli altri come oggetti. È molto basilare, ma alla fine fa il suo lavoro. Il che è già qualcosa.

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